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Maruska Albertazzi è nata a Bologna nel 1976. Diplomata in Florida, laureata in Comunicazione di Massa a Bologna, giornalista professionista, ha lavorato prima come attrice e aiuto regista in teatro e, in seguito, come giornalista televisiva, sceneggiatrice, autrice e infine regista.

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“SAFE FOOD” anyone?

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“Recentemente è stato ipotizzato che i DCA e l’autismo condividano difficoltà e stili cognitivi simili. Studi epidemiologici recenti (effettuati sulla popolazione americana ndr) hanno evidenziato che circa il 25% delle donne affette da anoressia nervosa restrittiva superano il cut-off nei questionari per l’ASD (Autism Spectrum Disorder).”

Inizia così l’abstract dell’articolo scientifico (lo trovate scaricabile qui sotto) che ha indagato la correlazione tra autismo e disturbi alimentari in una popolazione di pazienti italiane e che ha esteso questa correlazione agli altri DCA, non solo l’anoressia nervosa, scoprendo che nel gruppo con tratti autistici più definiti, la diagnosi più frequente è in realtà quella di bulimia nervosa.

Al tempo stesso, la diagnosi di anoressia nervosa è prevalente nel gruppo con tratti LAST (low autism spectrum traits), ovvero quello che erroneamente si chiama “autismo ad alto funzionamento” o “sindrome di Asperger”.

Questo articolo apre le porte ad una discussione molto complessa, che riguarda sia la necessità di considerare sempre la possibilità di un ASD quando si valuta una persona con DCA, con tutte le sue implicazioni, sia un problema relativo alla guarigione in questo sottogruppo di pazienti.

Mi spiego meglio. Una delle caratteristiche delle persone nello spettro è la tendenza ad avere comportamenti ripetitivi e “ristretti” (RRB), tipo indossare sempre gli stessi abiti (preferibilmente di un certo tipo di tessuto e con un certo tipo di vestibilità – come le mie tute!), bere le stesse bevande (ultimamente per me il the freddo anche se non è più stagione), ascoltare la stessa musica, usare sempre gli stessi prodotti e…. mangiare sempre gli stessi cibi!

Questa ultima caratteristica, quando molto estrema, prende il nome di “selettività alimentare” ma può anche essere più sfumata e intendere semplicemente la preferenza nel mangiare sempre un ristretto numero di cibi, comunque sufficienti ad assicurare tutti i nutrienti necessari (più o meno).

Tutto questo non ha grandi implicazioni in una persona autistica, di sesso maschile, diagnosticata nell’infanzia e che non ha mai sofferto di disturbi alimentari, mentre può diventare un problema quando si riferisce a una persona di sesso femminile, non diagnosticata perché “ad alto funzionamento” che ha sofferto di disturbi alimentari, anoressia nervosa in particolare.

Quello che accade è che la persona, anche se guarita dal disturbo che la porta a restringere ed iper selezionare i cibi, può – anche magari dopo un periodo di maggiore varietà indotto dalle indicazioni del nutrizionista – ritornare ad avere un range limitato di alimenti e scambiare questo bisogno di cibo “routinario” per un ritorno del DCA o una mancata guarigione.

In effetti, la questione è molto nebulosa e la linea di separazione a tratti sfumata. Restringere la qualità dei cibi è sempre patologico? Fa parte del disturbo alimentare o del funzionamento autistico? Il piacere che deriva dal poter mangiare sempre lo stesso pasto è frutto della rigidità autistica o del perfezionismo malato indotto dalla malattia alimentare?

Diciamo che la risposta andrebbe trovata nello spirito con cui ci si avvicina a quel determinato cibo. Ne contiamo le calorie, gli zuccheri e i grassi? I nostri cibi “safe” (si chiamano nello stesso modo, lo so!) sono sempre verdure scondite? L’idea di ingerire un altro cibo ci terrorizza perché non sappiamo cosa potrebbe succedere al nostro corpo? Beh, chances are che siamo ancora nel meccanismo del DCA.

Se invece i nostri cibi coprono una certa varietà di tipologie alimentari, sono scelti in base alla consistenza e non alla densità calorica e l’idea di mangiare un altro cibo semplicemente ci mette ansia perché vorremmo mantenere la nostra routine alimentare e gli altri cibi non riusciamo proprio ad inserirli (a prescindere dal loro apporto calorico) allora forse è solo l’autismo che si fa sentire.*

Sto semplificando, certo, ma sono certa che riflettere su questo argomento non potrà che far bene ad entrambe le comunità, quella DCA e quella ASD. Che spesso si intersecano molto più di quanto non sembri.

*In questo articolo non ho inserito l’ARFID, una tipologia di disturbo alimentare molto più frequente nella popolazione autistica  che in quella neurotipica perché ero più interessata ad indagare le correlazioni nascoste tra autismo “ad alto funzionamento” e DCA.

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