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Maruska Albertazzi è nata a Bologna nel 1976. Diplomata in Florida, laureata in Comunicazione di Massa a Bologna, giornalista professionista, ha lavorato prima come attrice e aiuto regista in teatro e, in seguito, come giornalista televisiva, sceneggiatrice, autrice e infine regista.

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Io, autistica?


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Ho il cervello difettoso ma ci faccio meraviglie
Io, autistica?

Io, autistica?

Ci sono un sacco di falsi miti in giro sulle persone autistiche e la narrazione delle serie tv non aiuta per niente. Nelle persone di sesso femminile, poi, addio proprio.

La verità è che le donne autistiche esistono tanto quanto gli uomini ma il fatto che siano mediamente più abili a livello cognitivo le rende anche più “invisibili”.

Oggi, durante il primo colloquio di valutazione per la diagnosi, il dottor Moscone ha usato più volte il termine “Aspie”, riferendosi a me. Anche se non ho ancora una diagnosi formale, ho motivo di credere che questa sarà la mia diagnosi finale.

In ogni caso, noi donne nello spettro siamo spesso dei camaleonti, in grado di modificarci in base alle esigenze del contesto. Per anni, quello dell’identità è stato un mio problema: chi ero io davvero? Spulciando la mio biografia, appare piuttosto evidente: ero la bambina che voleva diventare suora missionaria, poi il primo nudo integrale nella storia del Teatro dell’Opera di Roma, laureata con 110 e lode ma anche diplomata in massaggio ayurvedico, fidanzata con un giovane avvocato in carriera di destra, poi con un professore universitario di estrema sinistra e subito dopo con un dj non binario che metteva le mie gonne. “Decidi cosa vuoi essere da grande” mi dicevano tutti ma io volevo essere tutto da grande, tutto e niente. La mia mente si faceva rapire da interessi sempre nuovi, gli unici in grado di accendere le mie capacità procedurali. Sugli interessi nuovi, io funzionavo. E così saltavo da una cosa all’altra, come faccio anche ora. Specialista di tutto e specializzata su nulla.

Oggi ho scoperto che noi donne autistiche amiamo che il nostro corpo sia androgino, una pericolosa sovrapposizione con l’anoressia che ho sempre più il sospetto sia fortemente correlata con la neurodiversità. Forse il mio disturbo alimentare non è stato causato dal mio essere autistica ma “quale” tra i tanti disturbi alimentari, beh, francamente credo di sì. La mia capacità di resistere stoica ai richiami del corpo, quella facilità innaturale nel gestire la fame, mai un’abbuffata, mai una crepa. I numeri, tutti pari. Il peso che doveva scendere a due a due: 52, 52, 48, 46, 44… mai un numero dispari, il numero dispari che generava una crisi. Il mio disordine atavico inconciliabile con la mia pianificazione ossessiva, nei minimi particolari. Il piacere di stare nei soliti due o tre cibi e la fatica di cambiare, non per le calorie, no. Proprio per la fatica di cambiare. Quella difficoltà a capire: sono grassa o magra? Quel non riuscire a capire le proporzioni del mio corpo, quell’ostinarmi a volere lo spazio tra le cosce anche se le ossa del mio bacino lo rendevano impossibile ad un peso compatibile con la vita. Se guardo indietro, rileggo la mia anoressia con gli occhi della neurodiversità e tutto torna. Torna anche perché per stare meglio, per guarire, io sono dovuta passare da strade alternative, scoscese, ripide e arzigogolate. Perché il problema non era accettare il mio corpo per com’era, il problema era proprio riuscire a vederlo per com’era.

Oggi ho scoperto che la mia passione per le tute è al 100% autistica e lo è anche il mio sembrare eternamente un’adolescente un po’ eccentrica (anche se con le rughe).

Ho scoperto anche che noi donne autistiche siamo spesso “advocate” di qualcosa. Che odiamo le ingiustizie, non le tolleriamo. Che proviamo un fastidio fisico che deriva anche dalla nostra rigidità e dall’amore per gli schemi: giusto e sbagliato, bianco e nero.

Oggi ho scoperto molte cose ma soprattutto ho scoperto che il mio essere profondamente empatica non mi impedisce di essere autistica. Perché la mia è empatia emotiva, quella che mi fa vibrare e piangere con te. Ma manco di empatia cognitiva e quindi a volte posso non capire la situazione e come tu ti senti in quella situazione. Non so prendere le misure: sei arrabbiata con me? Per sicurezza ti chiedo scusa. Scusa, credo di averlo detto milioni di volte in vita mia. Scusa, non avevo capito. E gli altri a guardarmi e alzare un sopracciglio e pensare: seh, vabbè. Ma io non avevo capito davvero.

Oggi ho scoperto che le molestie che ho subito da bambina, anche la violenza, nascono da lì, da quel non saper leggere le intenzioni di chi ho di fronte. Ho scoperto che tutta la vita e per tutta la vita ho usato tutta l’energia che avevo a disposizione per essere come gli altri, senza riuscirci mai.

E ho capito che non ne vale la pena. Non sempre, almeno.

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