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Maruska Albertazzi è nata a Bologna nel 1976. Diplomata in Florida, laureata in Comunicazione di Massa a Bologna, giornalista professionista, ha lavorato prima come attrice e aiuto regista in teatro e, in seguito, come giornalista televisiva, sceneggiatrice, autrice e infine regista.

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L’anoressia e la realtà che non è

L’anoressia e la realtà che non è

Finché non ci mettiamo in testa che l’anoressia nervosa è una malattia psichiatrica grave, non ne usciamo. Una malattia psichiatrica che è a tutti gli effetti una psicosi, perché ci nega la possibilità di vedere la realtà per com’è. L’anoressia nervosa è un’allucinazione mascherata da pensiero logico. E’ pazzia pura in disguise. Pazza. Fa paura questa parola, eppure bisognerebbe avere il coraggio di usarla per l’anoressia. Pazza. Perché non può che essere pazza una persona che si suicida lentamente senza averne la reale percezione. Perché quando sei lì, con in testa solo quel maledetto numero che deve scendere, con in testa l’immagine “giusta” della malattia che non è mai la tua, la realtà non la vedi. Non vedi che stai camminando come una sonnambula verso la morte, senza riuscire più a sfiorare la vita.

Non credo esista qualcosa di più lontano da un capriccio di quella malattia maledetta. Una malattia che a “stai morendo” risponde “solo un altro po’. Fammi calare solo un altro po’” e intanto ti ammazza. Forse se iniziamo a pensare che quel vedersi enorme è frutto dell’allucinazione di un cervello in corto circuito, forse ne usciamo. Se ammettiamo di non essere in grado di intendere e volere, perché se la realtà non la vedi per com’è, cosa intendi, cosa vuoi?

Io vi vedo, camminare come in un sogno verso il buco nero. Vi guardo e mi vengono in mente le bambine ebree che camminavano verso i forni convinte che fossero docce. Ed è inutile che mi dicano che voi lo sapete cosa state facendo, perché non è così. Parlate di morte ma l’unica morte che avete in mente è il concetto astratto, la parola. Morire senza averne contezza. In perenne anestesia. Che forse è anche meglio, così uno non se ne accorge. Ma così non ha mai nemmeno vissuto. Che senso ha stare su questa terra se non vivi? Che senso ha stare qui senza il profumo delle castagne, senza i colori dell’autunno, senza l’aria fredda sul viso, senza l’odore del sudore di tuo figlio, senza la saliva del tuo compagno, senza il sangue che esce dal tuo utero, senza la schiuma della birra, senza le dita intorno al bicchierino di plastica del caffè?

Stamattina camminavo vicino al fiume e ho visto questa foglia. L’ho raccolta pensando a te. Ho pensato che sei la Bella Addormentata e che Malefica ti ha maledetta. Ho pensato che io sono la fatina blu, quella che ti dà il dono del risveglio. Però non ho una bacchetta, non sono una fata e nemmeno un principe azzurro. Ho pensato che solo tu puoi spezzare il tuo incantesimo. Io posso solo regalarti questa foglia. E prometterti che, se guarisci, ci vedrai il senso della vita, come ce lo vedo io.

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