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Maruska Albertazzi è nata a Bologna nel 1976. Diplomata in Florida, laureata in Comunicazione di Massa a Bologna, giornalista professionista, ha lavorato prima come attrice e aiuto regista in teatro e, in seguito, come giornalista televisiva, sceneggiatrice, autrice e infine regista.

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Il mito ludico della cannabis

Il mito ludico della cannabis

Nel dibattito sulla legalizzazione della cannabis, tra proposte di legge più o meno restrittive, c’è un aspetto poco considerato o comunque poco discusso, che dovrebbe invece essere centrale per l’importanza delle sue implicazioni sulla salute mentale di adolescenti e giovani adulti.

La percezione comune  è che la piantina di marjuana, con la sua immagine graziosa e rupestre, sia tutto sommato un’alternativa più sana al fumo di sigaretta, un modo per rilassarsi dopo una giornata stressante, una sorta di calmante naturale e privo di controindicazioni. Senza dubbio, questo è vero per molte persone adulte che ne fanno un uso controllato, decisamente meno vero per i ragazzi.

L’idea che la cannabis sia sempre e comunque innocua è stata ampiamente smentita da molta letteratura scientifica, soprattutto quando si analizza il suo impatto sul cervello ancora in formazione degli adolescenti. Basta cercare “cannabis – psicosi” nel motore di ricerca di PubMed – il Google della scienza, per intenderci – per trovare centinaia di articoli sull’argomento, con studi datati dal 1990 ad oggi.

In un articolo pubblicato da Leweke nel 2008, emerge che gli utilizzatori frequenti di cannabis hanno un rischio doppio di manifestare episodi di psicosi. E’ vero che la maggior parte degli utilizzatori non avrà mai problematiche di questo tipo, ma decidere a priori chi rischia e chi no è molto difficile.

 Se restringiamo poi il discorso ai ragazzi, la questione si fa ancora più complessa. Non tutti sanno, ad esempio, che il processo di maturazione e riorganizzazione cerebrale – ovvero il cosiddetto “cervello adulto” – si completa non prima dei 21 anni di età. Questa riorganizzazione coinvolge in modo decisivo il sistema degli endocannabinoidi, molecole prodotte naturalmente dal nostro corpo, molto simili ai fitocannabinoidi della marjuana e che si legano agli stessi recettori. In questo delicato processo, non è difficile capire come l’esposizione alla sostanza  possa avere un effetto drammatico su un cervello ancora in formazione. Studi effettuati sia sugli animali che sugli esseri umani dimostrano che un utilizzo precoce della cannabis può avere conseguenze permanenti sulle capacità cognitive, aumenta il rischio di problematiche psichiatriche e favorisce lo sviluppo di dipendenze. Altri studi dimostrano come, negli adolescenti predisposti, favorisca l’esordio di fenomeni psicotici, che possono portare a conseguenze anche mortali. Per quanto si tratti di un numero per fortuna esiguo di persone con una genetica predisponente, resta il fatto che sapere se un ragazzo sia o meno predisposto non è facile e che di solito lo si scopre solo dopo che il danno è fatto e le conseguenze sono irreparabili. Anche se è accertato che la cannabis ha grandi potenzialità terapeutiche e dunque il suo utilizzo dovrebbe essere reso più semplice nella cura di molte patologie, al tempo stesso questa non può essere la motivazione per rendere legale  – etichettandola come innocua – una sostanza potenzialmente molto pericolosa per i ragazzi. Anche la ketamina sta dando grandi risultati nell’utilizzo terapeutico nei casi di depressione resistente ai farmaci ma non per questo – giustamente –  ne viene auspicata la legalizzazione.

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